DE FALLA E IL MONDO DEI GITANI
di Giulio Paternoster.
Le Siete canciones populares spagnole di Manuel de Falla, raccontate su Radio3 da Francesco Antonioni, sono una breve e incantevole antologia di canzoni in cui, come abbiamo visto in Beethoven o Brahms, la musica colta, quella che legge lo spartito, interpreta e fa sue melodie e gestualità della cultura popolare.
In seguito su questa bella raccolta ci metterà le mani per un arrangiamento orchestrale anche Luciano Berio, sempre molto attento al repertorio “folk” che si muove in un mondo senza confini. La raccolta di De Falla ha invece un presupposto nazionale, si colloca infatti nella stagione di nazionalismi musicali che caratterizza la scena musicale europea tra XIX e XX.
Ma in questa musica nazionale spagnola in cerca di affermazione non troviamo nulla di roboante o di fanatico: troviamo invece moltissimi motivi gitani, che il pubblico iniziava a conoscere, seppur in maniera temperata, grazie a opere come la Carmen o l’Amore stregone dello stesso Manuel de Falla.
De Falla è di Cadice, e come altri grandi artisti andalusi dell’epoca, come Federico García Lorca e Pablo Picasso, non può non riflettere sulla cultura gitana, che imbeve ogni carattere del folclore andaluso a partire naturalmente dal flamenco. Nel 1922 pensò e organizzò il dibattuto Concurso del cante jondo, dedicato ai vari generi (palos) e discipline del flamenco; insieme a lui, alla regia, Federico García Lorca, il quale , di vent’anni più giovane, nutriva una vera e propria venerazione per il compositore che per primo lo aveva guidato nella “ricerca delle radici”, che sarà il grande tema della sua poetica. L’ambizioso obiettivo del concorso era da un lato rintracciare lo spirito più genuino della cultura flamenca, rispetto a quelle versioni macchiette che avevano reso l’antica tradizione gitana uno stilema di moda nella musica europea; dall’altro ribadirne l’importanza nella cultura spagnola in polemica con il movimento modernista della generazione del ’98, gruppo di artisti e intellettuali che miravano a svecchiare la Spagna attaccata in modo così morboso alla sue tradizioni, e quindi a riporre in un angolo la cultura flamenca.
Il concorso del 1922, che fu una grande evento e una grande festa, non lasciò nel complesso il segno: il tentativo di De Falla, radicale e metodico quasi come Kodály e Bartók, si è rivelato ancora semplicistico, rispetto al radicamento molto forte e per certi versi iniziatico della musica andalusa.
Ma la vicenda ci ricorda l’enorme importanza della cultura gitana nel folclore europeo, un ponte che unisce la penisola balcanica e iberica passando per la Francia e percorrendo il Danubio, e che collega questo bacino già ampio di melodie popolari, violini tzigani, ninnananne, chitarre manouche, con gli echi più vicini dei generi musicali ebraici e, più in là, della musica d’oriente.
Come ascolti vi proponiamo:
lezione di Antonioni su Manuel de Falla
una delle Canciones españolas antiguas rintracciate e armonizzate da Federico García Lorca, nell’esecuzione del mezzosoprano Teresa Berganza e di Narciso Yepes alla chitarra
un video Rai nel ricordo di García Lorca convinto repubblicano, morto per mano dei miliziani franchisti all’inizio della guerra civile spagnola
Ederlezi, dalla celebrata colonna sonora di Goran Bregović per il film Il tempo dei gitani, di Emir Kusturica