Una persona del coro d’argento racconta l’importanza di essere arrivata al coro, e l’incertezza di oggi…
Con l’augurio che sia una lettura emozionante per tutti voi.
Il coro d’argento ha preparato un “diario di resistenza” avviato durante il periodo del lockdown, basato su interventi delle coriste e su riflessioni su alcune tematiche culturali e di esperienza vissuta.
Per poterne ottenere una copia è necessario contattare via email l’Associazione Donne per la Società Civile
“Perchè si comincia a cantare in un coro amatoriale? Piacere di cantare, amicizia, passatempo.
Per me la spinta più grande è stata soprattutto il piacere di cantare, ho sempre sentito cantare mia nonna (quante lacrime per Balocchi e profumi!), ha cantato tutta la vita mio padre che da ragazzzo andava con gli amici a far la serenata sotto I balconi delle ragazze, lui con un repertorio swing alla Natalino Otto, l’altro con il repertorio melodico, il terzo con la chitarra.
Io ho sempre cantato con gli amici, con i miei figli nei viaggi in macchina, con i miei alunni, con poca competenza ma grande piacere (ah, se avessi trovato prima lungo il mio percorso un maestro Guiot!)
Insomma, tre anni fa hanno avuto gioco facile le amiche nel trascinarmi il mercoledì pomeriggio nella Casa del quartiere. E poi c’era bisogno di qualcosa che riempisse il vuoto causato da una pensione anticipata e imposta dalle circostanze.
Arrivo con le amiche, il quartetto base, scopro alcuni volti conosciuti, siamo in tante.
Scopro con soddisfazione che conosco già parecchie canzoni, mi sento a mio agio, mi diverto. Il maestro è ironico, istrionico, abilissimo nel domare con affettuosa determinazione un gruppo dove non sembrano mancare le personalità di spicco. Ci si sistema quasi sempre nelle stesse postazioni, quando non si canta si chiacchiera soprattutto con le compagne che si conoscono già. Un po’ per volta però con alcune sconosciute si scoprono istintive affinità, incomincio a riconoscere volti e voci.
Il maestro spiega , corregge, ci insegna ad usare meglio respiro e voce. Lentamente miglioriamo. Io, che ho un timbro basso, mi accorgo di riuscire ad emettere note più alte senza troppa fatica.
E poi diventa più chiaro il filo conduttore del repertorio, tutte le nostre canzoni raccontano qualcosa, e quel qualcosa ha a che fare con la storia del coro, con la sua anima.
Ecco, scopro che questo coro ha un anima, un non detto a cui implicitamente chi arriva aderisce. Un modo di concepire il mondo. E il maestro l’ha ben presente.
Nel corso dello scorso anno avviene il punto di svolta grazie, come spesso accade, ad una compagna di coro visionaria, Anna, la cui idea viene accolta dal maestro, altrettanto visionario. Ospiteremo un coro toscano a Torino e poi ricambieremo la visita. Per noi, con la sindrome delle dilettanti allo sbaraglio, è un’idea bella ma anche un po’ inquietante. Il coro di Radicondoli arriva in un piovosissimo weekend di maggio che sicuramente non fa onore alla nostra città. Hanno un repertorio polifonico, ci sentiamo già quelle meno brave, a prescindere. Ma il maestro sa giocare bene le sue, nostre carte. Ha scelto per noi le canzoni più divertenti, più leggere, ci divertiamo e facciamo divertire. I meravigliosi musicisti che ci accompagnano incantano noi e il pubblico L’energia del coro arriva ai nostri ospiti.
Passa l’estate, tocca a noi andare in Toscana, partiamo in un caldissimo weekend di ottobre. Saliamo sul pullman….ed è subito gita del liceo.
Questa volta nel nostro repertorio ci sono anche le canzoni serie, importanti, quelle che quando ci vengono bene fanno venire la pelle d’oca. Cantiamo anche assieme ai nuovi amici, mangiamo assieme. Il giorno successivo camminiamo assieme dentro un paesaggio così bello che non sembra vero.
La foto di gruppo con lo sfondo delle colline toscane è la miglior sintesi di quei giorni, tutti quelli a cui l’ho fatta vedere hanno provato invidia.
Ricominciamo gli incontri del mercoledì, arricchite dall’esperienza comune.
In mezzo una coinvolgente esperienza alle OGR. Al termine della manifestazione mi viene a salutare un ex operaio, padre di una mia alunna che adesso ha trent’anni, contento e sorpreso che la maestra canti per ricordare lui e il suo lavoro.
E quando si incominciano a imparare le nuove canzoni, arriva Covid.
Tutto si ferma, un incubo, ci troviamo improvvisamente in un brutto, terribile film di fantascienza. Disperazione, isolamento, lutti. Passano le settimane e arriva il giorno in cui il maestro ci chiama a raccolta.
Vincendo la resistenza di parecchie di noi rispetto alla tecnologia, tante rispondono alla chiamata, ci vediamo nello schermo di un computer, non si può cantare, non ci vediamo per quello, ma vederci è bello e commovente. A quanto pare il senso del gruppo non è più solo legato al canto.
Il maestro ha un’altra visione, lancia dei sassi nello stagno e questa volta le goccioline che si producono non sono pericolose. Mescolando musica, parole, ricordi personali si parla di guerra, di viaggi, di rivoluzione, di musica, di danza, della paura del futuro.
E io, che sono la baby del gruppo, assisto al miracolo di indomite signore che, dopo una vita di lavoro, impegno, gioie, difficoltà, dolori, cercano materiale, sviluppano idee, consigliano letture, si scambiano opinioni e ricordi. Ci si ritrova in piccoli gruppi e ci si conosce meglio. Trovarsi è consolante, muove sentimenti e idee, in mezzo a tanta desolazione c’è tanta vita.
Sì, siamo un gruppo e cantare è solo una delle cose che si possono fare assieme
Si ha voglia di ricominciare a vederci e cantare con una voce nuova.
Io nel frattempo ho perso la mia voce e non so se ritornerà, ma penso che chederò al maestro di farmi stare lo stesso nel coro, canterò in playback, come si diceva una volta di fare agli alunni che si ritenevano stonati.
Posso maestro?”