LE PRESENTAZIONI
Primo quadro
Il Viandante.
La storia del canto che “viaggia” fin dall’antichità, che dal Medio Oriente viene assimilato prima da Atene e poi da Roma, e diventa elemento di fondo del Canto Popolare in tutta Europa. Canto che ha radici comuni, elementi riconoscibili nella forma, nel linguaggio, nello stile… Ma anche la storia delle persone che si spostano, che emigrano, che scambiano conoscenze e saperi e che hanno sempre alimentato un Meltin Pot che da sempre rinnova e contamina il nostro linguaggio. E, ancora, storia delle persone che si muovono trasmettere il sapere e per conoscere: dai monaci medievali, alla vita rinascimentale delle Corti italiane, al “Tour d’Italie” dei giovani intellettuali europei.
I protagonisti sono due associazioni corali: I Polifonici del Marchesato e Cantabile onlus. I cori racconteranno l’evoluzione del canto, i temi monodici e gli sviluppi polifonici. Accanto al coro c’è spazio per il “viandante” di oggi: il jazzista, che ascolta elabora e trasforma.
Il nostro concerto è articolato in tre quadri.
Il primo quadro parla dell’origine del canto che chiamiamo “europeo”: la melodia mediorientale, che viene veicolata attraverso la Grecia e Roma, e poi dalla tradizione ebraica (sefardita e azkenazita) e rom, e più tardi dalle popolazioni arabe nel loro espandersi nell’africa settentrionale e quindi nella penisola iberica. Iniziamo dalle melodie più semplici, che abbiamo conservato a una sola voce.
Lamma Bada, un canto popolarissimo in lingua araba.
Durme durme, una ninna nanna di origine Sefardita (i Sefarditi sono gli ebrei rifugiatisi in Spagna)
Getsemane, una melodia di origine Caldea, in lingua araba, appartenente alla comunità cattolica Caldea diffusa soprattutto nell’attuale Iraq
Secondo quadro
Le tradizioni del Canto Gregoriano, del Canto Bizantino (nelle sue varie articolazioni) e del Corano (il significato del termine è “recitazione salmodiata”) sono straordinariamente affini.
Nei suoni e nei segni.
Possiamo quindi pensare che una importante eredità del canto mediorientale sia costituita dal canto sacro in latino, che a seconda delle tradizioni e delle culture si è mantenuto inalterato nei secoli o si è trasformato risentendo di influssi secolari. E’ anche vero però che il canto più semplice, che ha veicolato testi profani, è diventato patrimonio comune e si è vestito sovente, con una certa iniziale approvazione della Chiesa, di testi spirituali da cantare nei periodi liturgici dell’Avvento e della Quaresima, nei quali si concentrano le tradizioni popolari in lingua volgare che porteranno alle Sacre Rappresentazioni. Mentre in Europa si diffondeva la tradizione Gregoriana, che portò in seguito alla nascita della notazione musicale, dalla tradizione più semplice prendevano forza i movimenti pauperistici del Medioevo: Francesco d’Assisi parla delle melodie che gli cantava la mamma francese (probabilmente canti trobadorici), e compone su questo ricordo numerosissime Laudi. Ma anche Lutero utilizzò il canto “popolare”, conosciuto da tutti, per travestirlo di testi spirituali in lingua volgare e veicolare a tutti i suoi principi.
Avete ascoltato un brano dal Laudario di Cortona, del XIII secolo. La melodia è libera, ma articolata in strofe e con una struttura formale che la avvicina più a un canto trobadorico che a una melodia gregoriana. A ribadire come lo scambio tra canto profano e argomenti spirituali sia da sempre continuo.
E’ la volta di una coppia di composizioni che vogliono aprire una ulteriore finestra… Il canto natalizio spagnolo (vilancico) Riu riu chiu ha molto probabilmente un’origine araba o arabo/andalusa: la metrica è irregolare, l’andamento danzante, la melodia modaleggiante. Nella nostra lettura, questo canto si trasforma in una sorta di flamenco nel vilancico argentino “la Peregrinacion”.
Terzo Quadro
Ascolto del nuovo, assimilazione, imitazione, utilizzo e ri-utilizzo.
L’ultimo quadro del nostro concerto vuole raccontare di come ciò che ascoltiamo dalla tradizione viene filtrato e assimilato dalle diverse culture. L’esempio è molto semplice e chiaro: quando parliamo di musica “ungherese”, o “tzigana” (o ancora turca, giapponese…) sappiamo che Beethoven, Brahms, Liszt e Bartok ci presentano risultati molto diversi.
Perché quella stessa melodia popolare che hanno ascoltato viene “filtrata” dalle loro orecchie, dalla loro sensibilità, dalla loro cultura e dal loro linguaggio. Melodie popolari, o musiche di altre tradizioni, che si ascoltano investigando con più o meno cura nel proprio paese, oppure nel proprio percorso di formazione. Nel Settecento e nell’Ottocento il “viaggio di formazione”, soprattutto in Italia, è stato al centro del percorso culturale dei più grandi intellettuali europei. Pensiamo allo stupore di Goethe nell’ascoltare il “canto dei gondolieri” a Venezia.
Anche la musica leggera assimila e ri—utilizza il materiale melodico e ritmico della tradizione, con i suoi occhiali. Proprio come avvenne a Lutero costruendo i corali, o alla canzone napoletana partendo dalla tradizione operistica.
Come scriveva Adano de Lilla, il reale si riflette in noi come in uno specchio, e noi restituiamo l’immagine della natura così come risuona in noi. In Memoriam è una composizione a doppio coro che riporta questo pensiero: il primo coro canta il testo medievale, con una semplice melodia gregorianeggiante. Il secondo coro commenta, vive, pulsa della vita del compositore contemporaneo.
Seguirà ancora un canto polacco, dove alla melodia gregoriana del Regina Coeli si contrappone il coro che commenta e sviluppa la composizione con un linguaggio musicale nuovo e tumultuoso.
Eccoci alla fine del nostro concerto, e del nostro percorso.
Da una melodia accompagnata, di sapore antico, alla destrutturazione degli elementi del canto popolare per farne nuova composizione e ri-utilizzo nella musica colta.
E non stiamo parlando solo del canto “degli altri”, perché il flusso della melodia antica ha investito nel tempo tutta l’Europa radicandosi poi nei vari luoghi con caratteristiche legate al linguaggio, alle tradizioni e agli usi di ciascun territorio. Ma la radice è una.
Le Letture
Con quanta chiarezza mi parla, la luce della luna, animandomi al viaggio.
“Segui fedele l’antico sentiero, non scegliere nessuna Patria,
Altrimenti i giorni duri ti recheranno eterne pene.
Via, tu devi errare, devi andare verso altri luoghi,
e sfuggire leggero ogni lamento”
Aspro flusso e placido riflusso s’agitano nel profondo del cuore,
così io continuo il mio cammino nell’oscurità,
salgo con coraggio, canto lietamente, e il mondo mi sembra buono.
Vedo dolcemente tutto puro, nel chiarore riflesso.
Niente è sconvolto, o inaridito nel calore del giorno: mi circonda la felicità.
Ma sono solo.
(da F. Schubert, lied “Der Wanderer” D 489)
Appena terminato il solenne annuncio, i cardinali insieme col papa
intonano ad alta voce il “Te Deum “. La folla risponde cantando in coro
le lodi del Signore. La terra echeggia di voci immense, l’aria si riempie
di inni di gioia, il suolo si bagna di lacrime. Si elevano cantici nuovi, e nella melodia
dello spirito esultano tutti i servi di Dio. Si cantano con voci modulate
inni spirituali, sostenuti dal dolce suono degli strumenti.
L’atmosfera è pregna di soavi profumi e la melodia rimbalza più festosa,
penetrando i cuori col suo incanto. Il giorno è radioso,
illuminato da più splendidi colori. Ondeggiano verdeggianti rami d’ulivo
misti a fresche chiome d’altri alberi; l’apparato di festa
riverbera luminosità su tutti, e la benedizione di pace inonda di gioia tutti i cuori.
(Vita prima di San Francesco D’Assisi- Tommaso di Celano (1228-1229)
Domenica andammo alla Cappella Sistina, dove il papa ha assistito alla messa
insieme ai cardinali […] Cantarono un antico mottetto, composto
da uno spagnolo di nome Morales, che ci fece pregustare le bellezze
dei prossimi giorni. Kayser, del resto, ritiene che queste musiche
non si possano né si dovrebbero ascoltare altrove che qui,
un po’ perché senza organo né strumenti sarebbe impossibile
istruire i cantori che le eseguono, un po’ perché tutti questi strumenti
armonizzano in maniera unica con l’antica decorazione della Cappella
e con l’insieme michelangiolesco, il Giudizio Universale, i Profeti, le storie della Bibbia.
Kayser si propone di stendere in futuro un apposito resoconto su tutto ciò.
E’ un grande appassionato di musiche antiche e studia con fervore tutto quanto vi attiene.
A casa nostra c’è, per esempio, una notevole raccolta di salmi tradotti in versi italiani e
musicati all’inizio del secolo da un nobile veneziano, Benedetto Marcello.
Per molti di essi egli si è valso dell’intonazione di canti ebraici, sia spagnoli
che tedeschi, per altri ha preso a fondamento
vecchie melodie greche,sviluppandole con molta accortezza, capacità,
tecnica e sobrietà. La forma varia tra l’assolo, il duetto e il coro,
e la loro originalità è indubbia, anche se a tuttaprima bisogna raccapezzarcisi un po’
(dalla Corrispondenza di Goethe del marzo 1788)
Quali siano, del cosiddetto periodo russo di Stravinsky, i temi di invenzione
originale e quali invece quelli presi a prestito dal canto popolare, io non
lo posso decidere perché manco dei dati necessari. Una cosa però è certa:
se nel materiale melodico di Stravinsky vi sono delle invenzioni originali, cioè
da lui stesso create (e senz’altro vi sono), esse sono le più abili e fedeli
imitazioni del canto popolare che si possano immaginare. E’ notevole, d’altronde,
che nel periodo russo, a cominciare dalla Sagra della Primavera, Stravinsky
non si sia quasi mai servito di melodie a forme chiuse, vale a dire
articolate in 3, 4 o più incisi, ma invece abbia lavorato con motivi
di 2, 3 battute, ripetendoli continuamente in modo “ostinato”.
Tali motivi primitivi, brevi e continuamente ripetuti, sono molto caratteristici
di una certa parte della musica russa. Da noi, questo tipo di composizione,
si trova nella musica per cornamusa, e presso gli arabi nella musica
contadina che accompagna la danza. La struttura primitiva del materiale
tematico ha forse determinato il carattere così singolarmente
frammentario, direi a mosaico, della costruzione delle opere di
Stravinsky in quel suo periodo. E comunque la ripetizione incessante
di motivi primitivi produce sempre un effetto stranissimo,
febbrile ed eccitante, nella stessa musica popolare di quel genere:
nessuna meraviglia quindi che un mago come Stravinsky ne abbia
centuplicato gli effetti, valutando con estrema precisione i
rapporti di peso dei vari motivi, così da disporli nel loro reciproco incalzarsi.
(Da Bela Bartok, scritti sulla musica popolare)